lunedì 29 dicembre 2008

I momenti di tempo libero da dedicare al gioco erano veramente pochi ma, quando questo accadeva, giocavano tutti, grandi e piccini, e non mancavano gli spettatori che assistevano alle prove. I giochi erano basati sulla destrezza, sull’agilità, sulla velocità, sulla coordinazione ma principalmente sulla forza fisica. A volte diventavano violenti ed aggressivi perché, in parte, rispecchiavano i comportamenti sociali del tempo. I giochi, sono sempre figli del tempo e si adattano al contesto sociale nel quale si svolgono. Ieri non esisteva nessun disturbo dall’esterno, niente TV, niente computer, scarsissima produzione industriale di giocattoli con, in compenso, una solida presenza di rapporti interpersonali e di socializzazione. Era considerato importante lo stare insieme, anche i momenti di lavoro si trasformavano in occasione di socializzazione. La persona allora era al centro della società e il gioco era di tipo collettivo-creativo e ad alto contenuto sociale. I bambini di oggi non sanno più cosa voglia dire avere un cielo azzurro sulla testa, schiacciati dalla loro passività di soggetti cresciuti davanti alla TV, con gli occhi abituati ad incamerare sempre più immagini e a produrre sempre meno parole. Ieri il bambino non aveva bisogno dell’adulto, della guida, erano indipendenti ed autonomi nel gioco prima e nella vita, poi; oggi non sono abituati a scegliere, c’è sempre qualcuno che provvede ad indirizzarli verso qualcosa e quando non c’è l’adulto c’è bisogno del computer o di altro. L’oggetto giocattolo è il nulla e dietro di esso si aggrovigliano il vuoto delle relazioni umane e l’assenza della fantasia, della creatività e dell’inventiva; in questo modo il gioco, inteso come tempo della piena libertà infantile, viene spogliato di spazi ampi e differenziati e mutilato dei propri segni educativi quali il movimento, la comunicazione, la fantasia, l’avventura, la costruzione, la socializzazione. Il bambino, spesso, non sceglie in base alle sue esigenze ma viene trascinato in forme di divertimento imposte, create artificialmente, prefabbricate. Bambini che stanno insieme fisicamente ma che non socializzano affatto, tra loro non si creano rapporti interpersonali ma soltanto muri di isolamento e solitudine.

3° PARTE (I GIOCHI DI UNA VOLTA)


Un dato certo è quello che molti giochi sono praticati, in modo simile, in molte regioni della terra tra i popoli civili e quelli barbari e questo è un fatto straordinario.Osserva il Pitré “Questo fatto ha un grande significato per l’etnografia e porta un certo contributo nelle spiegazioni di alcuni fenomeni psicologici e sociali. Ci sono degli svaghi come quello dell’anello o del cerchio o della palla o della trottola o della moscacieca che si riscontrano sia fra i popoli dell’Europa che tra i negri dell’Africa, sia fra gli indigeni dell’America che nelle tribù selvagge dell’Oceania. Ciò dimostra che vari giochi hanno un fondo comune di tradizione, cioè uno l’ha imparato dall’altro, in epoche quando gli uomini delle primitive sedi dell’umanità si portarono nelle diverse contrade, modificandoli e adattandoli ai nuovi ambienti e alle nuove abitudini.” Il grande folclorista siciliano afferma che almeno un terzo di giochi conosciuti in Italia nell’Ottocento era patrimonio dei fanciulli e degli adulti di gran parte dell’Europa. In questo lavoro vengono riportati, in alcuni casi, nomi di giochi simili praticati in varie regioni italiane, non sempre, però, questi giochi sono perfettamente uguali, anzi spesso ci sono differenze nei regolamenti e nello stesso modo di giocare. Questo è il segno evidente della grande originalità e creatività che sta alla base dei giochi ma, che non esclude l’evidente collegamento tra le svariate espressioni. La maggior parte dei giochi di ieri si svolgevano all’aria aperta, erano passatempi semplici, salutari e più adatti alla vita di allora. Le case erano molto piccole e poco comode, mentre di spazi liberi se ne trovavano in abbondanza, la piazza diveniva un ottimo laboratorio.

2° PARTE


Giocando il bambino misura l’ambiente, prende coscienza dello spazio, misura le reazioni dell’adulto ed impara a vivere. Il Gioco favorisce l’integrazione; l’attività ludica non prevede in nessun modo, differenze sociali o fisiche o di razza, durante le fasi di gioco si è solo partecipanti o concorrenti, nient’altro.I giochi, secondo Lhotzky, sono la parte più seria della vita del bambino, sono il lavoro più grave che egli compie. Il gioco, come trasposizione del lavoro, dove il bambino impegna tutte le sue abilità e la sua creatività, per riuscire nel gioco dà il massimo di sé, proprio come fa l’adulto nelle attività lavorative.La struttura-gioco, comprende una serie di componenti significative e di grande interesse. Un elemento essenziale del gioco è rappresentato dallo “spirito d’imitazione”. Atti, opere, comportamenti vengono riprodotti dal bambino con grande attenzione e con sorprendente spontaneità e vengono adattati ai suoi giochi. Un’altra importante qualità caratterizza l’attività ludica del bambino, la “competizione” con tutte le peculiarità che il termine presuppone: abilità, coraggio, azzardo valore sociale. Il Guyot dice “In quasi tutti i giochi la più grande soddisfazione sta nel trionfare su di un’antagonista, l’amore della vittoria è una condizione di esistenza per tutte le specie viventi, perciò abbiamo bisogno di soddisfarla”. Non meno importante è l’elemento “emozionale”, inteso come piacere di far parte del gruppo, di partecipare al gioco, di sentirsi protagonista della gara, di mettersi alla prova e di riuscire a superare le difficoltà. Esiste, poi, nel gioco un intimo desiderio di “piacere” e di “godimento”. La soddisfazione di riuscire a vincere gli ostacoli arrivando a trasformare sensazioni ordinarie in sensazioni piacevoli e gratificanti. Anche gli sforzi diventano piacevoli e superabili come l’andare dietro ad un cerchio, o l’inseguire una palla o il rincorrersi in lungo e in largo.

GIOCHI D'INFANZIA DI UNA VOLTA


Il gioco è sicuramente l’espressione più autentica e spontanea dell’infanzia, è attraverso l’attività ludica che si possono intravedere tendenze ed inclinazioni del bambino. Dice il Pitrè “Il fanciullo è un piccolo uomo e noi, fanciulli di una volta, possiamo, nei suoi atti scomposti e meccanici d’oggi vedere o prevedere i suoi atti relazionali di domani come nel breve, ahi! troppo breve! periodo della sua età spensierata, studiare quelli men brevi dell’agitata adolescenza e della non lieta maturità”.I bambini possiedono l’istinto del gioco e questa attitudine emerge già in tenera età. Il gioco è una delle componenti principali nella formazione psico-fisica dell’individuo; è occasione di socializzazione e di apprendimento; è formazione ed educazione; il gioco stimola l’inventiva, la curiosità, l’ingegno, la manualità, la creatività; esso abitua alla competizione, alla riflessione, al rispetto delle regole; attraverso il gioco si potenziano abilità fisiche e motorie, contribuisce a formare la mente; rappresenta, inoltre, un vero e proprio allenamento che il bambino compie inconsapevolmente per avvicinarsi ed adattarsi alla società degli adulti. Con il gioco, il bambino ritrova il sorriso e la spensieratezza scordandosi dei piccoli malumori quotidiani.

RIFERIMENTI TEORICI


Vygotskij sottolinea l'importanza del gioco, soprattutto in età prescolastica, in quanto offrirebbe al bambino la maggior opportunità di compiere esperienze ricche e varie. Secondo questo autore attraverso la finzione ludica il fanciullo allarga il proprio campo di azione e di conoscenza, esprimendo principalmente il proprio bisogno di conoscere e di adattarsi al mondo. L'attività creativa, l'inventività, deriverebbero dall'esigenza di intervenire in modo costruttivo e attivo sulla realtà per il gusto di vivere situazioni reali e allargare le proprie esperienze. Secondo Vygotskij il gioco è un'attività basilare per lo sviluppo intellettivo e, nella prima infanzia, la più importante. A suo avviso, infatti, è il mezzo più efficiente per sviluppare il pensiero astratto: il bambino a questa età si crea delle situazioni immaginarie per superare i limiti delle sue possibilità di azione concreta e reale. Per comprendere come il gioco faciliti il processo d'astrazione, Vygotskij parte dalla percezione dei bambini. All'inizio la percezione dell'oggetto è totalmente associata all'azione che il bambino può compiere su di esso, per es., la porta al fatto di potersi aprire e chiudere, il cavallo al fatto di cavalcare; con il gioco di immaginazione il bambino per la prima volta separa un oggetto dalle sue azioni o dalle sue proprietà. Tuttavia all'inizio non arriva a un vero e proprio processo simbolico in quanto il bambino ha bisogno di un oggetto concreto che in qualche modo renda possibile l'azione ed evochi realisticamente l'oggetto che vuole rappresentare. Per questa ragione l'oggetto usato nel gioco ha sempre, sia pur in maniera limitata, qualche proprietà che l'oggetto intende evocare. Bruner considera il gioco intanto "un modo per minimizzare le conseguenze delle azioni e quindi apprendere in una situazione meno rischiosa"; inoltre gli appare come "una buona occasione per tentare nuove combinazioni comportamentali che non potrebbero essere tentate sotto pressione funzionale". In questi giochi di finzione, del "fare finta che...", il bambino segue inizialmente un impulso puramente imitativo, che lo aiuta a varcare i limiti dell'infanzia, per proiettarsi nel mondo degli adulti, e impersonarne i ruoli.

IL GIOCO SIMBOLICO: Cosa si intende....

Il gioco simbolico rappresenta una delle attività più importanti del bambino (in particolare, dal primo fino al sesto anno di vita), attraverso cui egli ha modo di contribuire direttamente e personalmente a strutturare il proprio sviluppo cognitivo, sociale e affettivo. Si tratta, infatti, di una forma di gioco che influenza significativamente tutte le dimensioni della personalità infantile, in un rapporto di causa-effetto, di tipo quantitativo e qualitativo: quanto più e quanto meglio il bambino avrà modo di vivere esperienze di gioco simbolico, tanto più e meglio si qualificheranno le sue abilità cognitive, socio-affettive e relazionali. Il gioco simbolico, che fa il suo esordio attorno ai 12/15 mesi di vita e si sviluppa nell'arco di tutta la prima infanzia, fino a 6 anni e anche oltre è il comportamento ludico infantile caratterizzato da finzione; il gioco di finzione è esperienza culturale e di crescita autentica e imprescindibile. Viene chiamato "simbolico" perché è caratterizzato da un processo di significazione indiretta, tipico di tutte le manifestazioni simboliche: qualcosa viene utilizzato per significare, rappresentare qualcos'altro. In particolare, nel gioco simbolico di un elemento fisicamente presente viene utilizzato per rappresentare un elemento assente ma evocato mentalmente: oggetti, azioni, identità, situazioni presenti vengono utilizzati per rappresentare, come se fossero oggetti, azioni, identità, situazioni diversi e solo immaginati (ad esempio, una matita come se fosse un bicchiere, una scatola di cartone che diventa una tana). L'incontro con gli oggetti materiali da parte del bambino avviene, per ritrovare qualcosa della realtà esterna. Il piacere del gioco, fino a 12/18 mesi, è prevalentemente legato alle esperienze sensoriali e motorie che il bambino stesso può provocare. Si parla infatti di "gioco sensomotorio". Il muovere, il far cadere, il toccare, il conoscere con bocca e organi di senso, il far rumore, lo spostare prendono molto interesse, e strutturano un rapporto di conoscenza. In seguito, al centro degli interessi del bambino si pone l'imitazione, la capacità cioè di riprodurre situazioni in altri contesti e accanto ad essa il gioco simbolico propriamente detto, in cui qualcosa viene usato per rappresentare qualcos'altro. Si assiste — almeno fino alla soglia della scuola dell'obbligo — ad una variabilità continua di temi, di percorsi narrativi, di significati attribuiti agli oggetti impiegati, mentre la qualità emotiva è caratterizzata dal totale assorbimento nel gioco. Il bambino lo vive come un serio impegno. L'insieme di queste considerazioni rende evidente il ruolo positivo del gioco simbolico in tutte le dimensioni dello sviluppo infantile. Questo chiama in causa la scuola dell'infanzia e gli adulti educatori che vi operano, impegnati a organizzare il contesto educativo e a predisporre tutte quelle occasioni formative didatticamente idonee a promuovere il gioco simbolico. Nella scuola dell'infanzia è importante che l'insegnante predisponga nell'angolo della casetta o dei travestimenti, del materiale ricco di opportunità diversificate di esercizio, per consentire al bambino giochi di finzione, di identificazione e di immaginazione. E' necessario predisporre indumenti vari, stoffe, mantelli, cappelli, borse, foulard, burattini, bambole e pupazzi, oggetti per l'angolo della casetta (piatti, bicchieri, pentole posate, ecc.), passeggini o carrozzine per le bambole ecc.. L'insegnante deve, naturalmente, assecondare pienamente le proposte di gioco dei bambini riprendendole verbalmente o eseguendole per comunicare attenzione, senso d'importanza e disponibilità totale nei confronti di un'attività cui loro stessi attribuiscono centralità e importanza, ponendo domande di chiarimento sulle proposte di gioco dei bambini, per sollecitare la pianificazione, l'esplicitazione, lo sviluppo e l'articolazione coerente delle loro intenzioni ludiche.

lunedì 22 dicembre 2008

Gioco come socializzazione


Nell’infanzia il gioco è un’attività di fondamentale importanza, per permettere l’acquisizione delle regole della vita sociale. Attraverso il gioco il bambino si adopera con tutte le forze sia per saggiare le sue capacità ed abilità sia per fare nuove scoperte. Osservare un bambino, assorto in giochi di costruzioni e vederlo addirittura piangere quando non riesce a superare le difficoltà, è uno spettacolo affascinante. Durante l’infanzia, infatti, il gioco è affrontato tanto seriamente da sembrare un’attività estremamente impegnativa. Esso è come il lavoro per l’adulto. Il bambino, inizialmente, fa un gioco solitario: si diverte a giocare, in solitudine, con i suoi giocattoli. In seguito, intraprende il cosiddetto gioco parallelo: il bambino gioca, nella sua autonomia, accanto ai coetanei, magari utilizzando giocattoli analoghi, ma senza aver rapporti con loro. Solo attraverso il gioco associativo, egli incomincia a relazionarsi con i suoi compagni e a scambiarsi anche i giocattoli. In tale fase ludica il bambino ancora non riesce ad intraprendere attività sociali; durante il gioco associativo le attività ludiche non sono, pertanto, coordinate. Per ogni bambino, in tale fase, il gioco ha ancora una finalità personale. Il gioco sociale fa, infine, assumere un ruolo sociale ed una responsabilità differente. In questa fase ognuno si sente parte del gruppo e tende ad escludere i soggetti estranei. Il gioco sociale è una conquista importante per l’essere umano. Esso fa acquisire una significativa valenza sociale rispetto a quella individuale ed egocentrica; a tale valenza è attribuita la funzione di modellamento nel processo d’interiorizzazione dei valori e delle norme sociali. Il bambino, superata la fase egocentrica, è portato a giocare con gli altri ed in gruppo. Egli, at??traverso questo tipo di gioco, è, pertanto, sottoposto a tutte quelle regole che favoriranno in lui la formazione del senso di responsabilità, di onestà e, soprattutto, di socialità. Il gioco non ha soltanto una funzione di socializzazione, ma ha anche un elevato valore educativo. Esso assolve, a tal proposito, non solo il compito di far sviluppare adeguatamente il linguaggio e di riequilibrare il mondo affettivo e relazionale del bambino, ma anche quello sia di eliminare o di attenuare le ansie e le paure sia di agevolare, permettendo, così, di scaricare l’aggressività accumulata, il processo di apprendimento.

GIOCO,DRAMMATIZZAZIONE E DISEGNO

L’attività ludica, non solo nell’uomo, ma anche negli animali, è, durante l’età evolutiva, la forma più naturale e spontanea di socializzazione. Nella prima infanzia, il bambino gioca con qualsiasi oggetto e, quando ottiene risposte alle sue azioni (rumori e movimenti), sembra divertirsi e, nello stesso tempo, manifestare curiosità ed interesse. Successivamente, al gioco individuale (senso-motorio e di esercizio) subentra quello sociale (praticato con gli altri e con precise regole).
Il gioco storicamente, a cominciare da Platone, è stato considerato come un indiscutibile strumento educativo ed ha avuto sempre un valore centrale per la formazione dell’uomo. Soltanto recentemente esso è stato, però, studiato, in particolare da due pionieri delle ricerche sullo sviluppo infantile, Jean P??iaget e Sigmund Freud, con rigore scientifico.
I due studiosi hanno messo in evidenza che l’attività ludica inizia quando il bambino prende coscienza dell’esistenza delle persone e delle cose che lo circondano.
Piaget, prendendo in considerazione le attività cognitive e lo sviluppo emotivo del bambino, ha cercato di interpretare il modo con il quale il gioco possa facilitare le une e l’altro; Freud, invece, affermando che il bambino è un “perverso polimorfo”, ha posto l’accento sull’analisi delle problematiche dell’attività affettiva e sessuale nell’infanzia. Esistono, in ogni modo, numerose teorie intorno al gioco, che possono essere, così, schematicamente enucleate:
a) La teoria di Schaller; questi, nel 1861, ha ipotizzato il gioco come riposo e come ricreazione.
b) La teoria di Spencer, il quale, nel 1890, ha interpretato l’attività ludica come uno scarico di energia superflua.
c) La teoria di Groos, che ha considerato il gioco come esercizio di preparazione alla vita degli adulti.
d) La teoria di Stanley Hall, che, nel 1902, ha cercato di ricondurre il gioco a strumento di eliminazione di tutte le funzioni ataviche superflue.
e) La teoria di Claparéde; questi, nel 1920, ha formulato l’ipotesi che il gioco possa essere un’attività efficace per soddisfare i bisogni naturali e per permettere che i desideri diventino reali.
f) La teoria di Huizinga, che, nel 1938, ha consider??ato il gioco come un tratto fondamentale dell’uomo. Esso è posto all’origine della cultura e dell’organizzazione sociale.
g) La teoria di Chateau, che, nel 1950, ha interpretato il gioco come attività espressiva dello slancio vitale dell’uomo.
h) La teoria di Bertin, che, nel 1955, ha rappresentato l’attività ludica come sfera dell’avventura estetica.i) La teoria di Caillois, che, nel 1958, ha collocato i vari tipi di gioco in rapporto a quattro parametri: agon (competizione o lotta), alea (sorte o fortuna), mimicry (finzione o simulazione), ilinx (turbamento o vertigine).

Carenze di cure materne e separazione

La prima infanzia è la fase dell’età evolutiva, in cui i bambini compiono le conquiste di base (psico-motorie, percettivo-intellettive, etico-sociali e pratico-artistiche), attraverso le quali strutturano la loro personalità. Ognuno, in tale età, incomincia ad impossessarsi del mondo circostante e, non avendo ancora un rapporto diretto con la realtà, nella quale vive, lo considera come vorrebbe che sia. I bambini, in tal modo, vivendo incertezze superiori a quelle che vivrebbero nelle fasi successive, sentono e richiedono un maggiore bisogno di cura e di protezione da parte dei genitori (soprattutto della madre) e degli adulti. Nei primi mesi ogni bambino dipende interamente dalla madre; egli, giacché il suo mondo affettivo è limitato soltanto ai bisogni innati, che devono essere soddisfatti in modo immediato, considera la madre come fonte di ogni gratificazione. Questa risponde, infatti, alla sua richiesta di cibo, di attenzioni e di protezione, favorendone la fiducia di base. Nell’infanzia, il bambino ha, poi, bisogni dominati dal principio del piacere immediato e, pertanto, il mondo esterno è percepito in funzione del suo io. Se l’ambiente dimostra di accettarlo, si sentirà sicuro ed acquisterà fiducia in se stesso; se, al contrario, sarà rifiutato, si sentirà inutile e sfiduciato. Il bambino, dopo alcuni mesi di vita, subisce un altro trauma: lo svezzamento. Questo è vissuto come uno stato di abbandono, di sofferenza e di frustrazione. La madre diventa, in tale circostanza, anche un ostacolo, perché, oltre ad operare, con lo svezzamento, un distacco fisico, ne contrasta i bisogni. Nei suoi confronti il bambino si trova, pertanto, in una situazione di ambivalenza: l’ama, ma non può perdonarle di averlo abbandonato. Egli, rendendosi conto, da un lato, che le difficoltà sono aumentate, e, dall’altro, che le sue abitudini hanno subìto delle modif??icazioni, cerca di acquisire autonomia nei confronti della madre. Ciò non sta a significare, tuttavia, che la figura materna sia diventata meno importante e significativa dal punto di vista affettivo. In questa ricerca dell’autonomia il bambino è spesso, costretto, infatti, a rifiutare il punto di riferimento della figura materna. Un’importanza fondamentale, a tal proposito, è assunta dai cosiddetti “oggetti transizionali”, che, simbolicamente, rappresentano, secondo Winnicott, la madre, nel passaggio dalla dipendenza (totale fusione con la madre) all’autonomia (stato di relazione con la madre, come figura esterna e separata), e corrispondono alle caratteristiche di morbido, di caldo e di piacevole al tatto. A lungo termine le carenze di cure materne, nell’infanzia, hanno, secondo il ricercatore M. Rutter, effetti negativi sullo sviluppo. Questi sono presenti anche dopo un lungo arco di tempo. Il bambino ha bisogno, infatti, di relazioni affettive durature e di interazioni comunicative continue.

Il gioco

Nel gioco il bambino si adopera con tutte le sue forze per diventare adulto. Osservare un bambino, assorto in giochi di costruzione e capace addirittura di piangere quando non riesce a superare le difficoltà, è uno spettacolo affascinante. L’attività ludica costituisce il motivo e l’esperienza di fondo di tutta la vita infantile. Essa procede, secondo Piaget, per tappe, che corrispondono ai primi tre livelli dello sviluppo cognitivo:
Tappa dei giochi d’esercizio, che, nel complesso, corrisponde allo sviluppo cognitivo dell’intelligenza sensorio-motrice. Tappa dei giochi simbolici, che corrisponde alla fase dell’intelligenza preoperativa (formazione del concetto e attitudine a trasformare la realtà in simboli).Tappa dei giochi delle regole. Questa è la fase che corrisponde all’acquisizione cognitiva delle operazioni concrete e formali. L’essere umano ha assimilato il pensiero reversibile e, pertanto, sa cogliere più aspetti della realtà e, nello stesso tempo, comprende che un problema può avere soluzioni diverse. Il gioco, nella storia, ha, però, assunto una funzione importante soltanto con Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) e con Wilhelm Friedrich Fröbel (1782-1852); esso precedentemente era considerato come un passatempo, anzi, come un’attività fastidiosa per gli adulti ed inutile per i bambini. Nella società attuale, tuttavia, non sono, nonostante si sia compreso che l’attività ludica serva al bambino per lo sviluppo delle sue capacità (sensoriali, motorie, affettive, sociali, intellettive e morali), ancora previsti, nella costruzione delle abitazioni, in maniera concreta, spazi adeguati per i giochi. Il bambino è, così, limitato nella sua?? spontaneità ed è costretto ad accumulare eccessiva aggressività, che, non riuscendo a controllare, scaricherà facilmente contro qualcuno o qualcosa. Alcuni studiosi, specialmente psicologi e pedagogisti, essendo il gioco, in ogni modo, un atto educativo, da tempo stanno ribadendo, con forti critiche al potere politico, che un’edilizia adeguata sia di fondamentale importanza, per permettere, soprattutto ai bambini, di svilupparsi armonicamente attraverso il gioco. Urgono per poter giocare ampi spazi e materiale adatto. Entrando, poi, in un negozio di giocattoli si è costretti ad ammirare una quantità di prodotti, che rappresentano quasi tutti una miniaturizzazione degli oggetti del mondo adulto. Questa tendenza è senza dubbio indice di grande sviluppo tecnologico, ma, nello stesso tempo, di scarsa sensibilità educativa. Il giocattolo non deve togliere al bambino, se vuole favorirne sia la maturazione sia lo sviluppo psicologico, il ruolo di protagonista né costringerlo alla condizione di passivo spettatore. Alcuni giocattoli (bambole, orsacchiotti, oggetti morbidi e caldi), secondo la maggior parte degli studiosi, sono insostituibili: essi rappresentano, per i bambini e le bambine, simbolicamente la figura del genitore e, nei momenti di frustrazione, gli amici con cui dialogare. Il gioco, quindi, è per l’infanzia non solo rappresentazione della continuità tra il passato ed il presente, ma anche fattore di liberazione; il bambino, infatti, entra in contatto, attraverso l’attività ludica, con il mondo circostante e compie esperienze concrete. In conclusione esso è una sorgente di motivazione e, perciò, sarebbe inimmaginabile, come ha sostenuto lo psicologo e pedagogista svizzero Edouard Claparède (1873-1940) “un’infanzia senza giochi”. Un bambino che non sa giocare è in “fieri” un adulto incapace non solo di pensare e di ragionare, ma anche di agire responsabilmente.

Il bambino, dopo aver acquisito la consapevolezza non solo del proprio io, ma anche di quello degli altri, incomincia a percepire che tra il sé e gli altri esistono alcune regole di interazione da rispettare. Egli intuisce le relazioni sociali che sussistono tra gli uomini ed incomincia a comprendere, così, l’elementare funzionamento del gruppo e dell’intera società. L’uomo, nell’arco della sua vita, non sempre riesce a comprendere totalmente la complessità della realtà sociale ed il suo corretto funzionamento. In generale, l’uomo maturo pensa di saperne abbastanza e di conoscere perfettamente le regole di interazione per convivere con gli altri, ma il bambino, per arrivare a tale stadio di socializzazione e di maturazione, deve sia fare molte esperienze sia acquisire adeguati apprendimenti.
Un bambino, nella fase dell’acquisizione delle regole, prova soddisfazione ed interesse nell’eseguire correttamente i compiti che gli sono assegnati. Successivamente incomincia, in modo progressivo, a porre una distinzione tra le regole e le norme sociali; a questo punto egli è ormai pronto a fare ingresso nella regolamentata vita sociale, dove le relazioni diventano complesse ed i rapporti sociali devono funzionare perfettamente. Il bambino, comprendendo che le regole sociali hanno un valore pratico, è ormai un soggetto adulto e responsabile.

Egocentrismo infantile


L’egocentrismo è una fase particolare dell’infanzia. Esso non deve essere confuso con l’egoismo né con la dominanza di un bambino su un altro. Secondo lo psicologo Jean Piaget (1896-1980) l’egocentrismo è la mancanza di differenziazione, nel bambino, tra il proprio punto di vista soggettivo e quello di un altro. Lo psicologo svizzero ha posto anche le differenze tra il linguaggio egocentrico e la comunicazione vera e propria. Il primo è ripetitivo, imitativo (ecolalia) e si basa sul monologo; la seconda è sociale e si basa sull’informazione adattata, sulla critica, sugli ordini, sulle minacce e così via.
Per Lev Vigotskij, non esistono, al contrario, differenze sostanziali tra il linguaggio egocentrico e la comunicazione, giacché il bambino usa sempre il linguaggio di comunicazione. Egli, anche quando si trova solo con se stesso, utilizzerebbe un linguaggio di comunicazione.
Una teoria, però, non esclude, secondo me, l’altra, giacché il linguaggio nell’infanzia svolge diverse funzioni; chi, poi, comunica, in tale tappa evolutiva, esprime i propri stati d’animo e non si preoccupa del significato. Il bambino, anzi, cerca di chiarire attraverso i monologhi non solo quello che intende fare, ma anche quello che effettivamente fa.
Piaget ha, tra l’altro, sostenuto che i bambini sono egocentrici tanto sul piano cognitivo (egocentrismo cognitivo) quanto sul piano dell’interazione sociale (egocentrismo sociale). Questa tesi è oggi alquanto criticata, perché, secondo alcuni studiosi, fino a sette anni non si possederebbe ancora un’interazio??ne sociale complessa. Solo dopo tale periodo, infatti, gli esseri umani diventerebbero consapevoli della complessità dell’interazione sociale ed incomincerebbero a riflettere sui processi interattivi, parlandone e discutendone tra loro. Anzi, proprio grazie a tale esperienza sociale, riuscirebbero a superare definitivamente l’egocentrismo e a rendersi conto che, nell’interazione sociale, possa esserci anche un altro punto di vista da rispettare.

Il modello di attaccamento secondo John Bowlby


Uno dei momenti più importanti del processo di crescita e di socializzazione, per il bambino, è l’attaccamento che si manifesta verso quelle persone che, inizialmente,?? gratificano i suoi bisogni, soprattutto fisiologici. I legami infantili sono appunto determinanti nel formare un adulto maturo e psicologicamente equilibrato.
La pulsione dell’attaccamento, tenendo i bambini legati ai genitori, è, sostanzialmente, funzionale alla sopravvivenza. L’attaccamento è, perciò, il concetto chiave, al fine di capire l’interazione tra i bambini ed i genitori. Esso inizialmente è rappresentato dal forte legame che si stabilisce tra un figlio ed una madre e, successivamente, tra un bambino e le altre persone che sono presenti nel suo ambiente. Il concetto di attaccamento è stato introdotto e studiato scientificamente da uno psicoanalista inglese John Bowlby (1907-1990). Questo studioso ha lavorato presso la Clinica Tavistock di Londra, dove ha effettuato i suoi studi; egli attribuisce al bambino, per dimostrare il suo attaccamento alla madre, alcuni comportamenti: aggrapparsi continuamente al corpo della madre, succhiare, piangere, sorridere e così via. L’attaccamento, secondo gli studiosi, non è, in ogni modo, una pulsione innata; esso, anzi, si forma gradualmente nell’arco dei primi sette mesi di vita. Nei primi quattro mesi, in generale, il bambino si lega normalmente a chi si occupa di lui ed ha premura per soddisfare i suoi bisogni. Dal quarto al sesto mese gli attaccamenti incominciano, invece, a diventare più mirati e selettivi. Nel settimo mese, infine, essi si sono formati completamente e possono essere diretti, con consapevolezza, verso le persone che si occupano di lui. Il bambino, in questo periodo, manifesta il suo attaccamento particolarmente verso la madre in due modi diversi. Il primo è la paura dell’ottavo mese. Questa è una fase di fondamentale importanza per il bambino: infatti, se l’ambiente dimostra di accettarlo si sentirà sicuro ed avrà fiducia in se stesso; se, invece, si sentirà non accettato o addirittura rifiutato, allora si considere??rà inutile e sfiduciato. La socializzazione e la formazione di un essere umano sono processi di maturazione lenti e graduali, che ricevono, in modo determinante, le loro basi nell’ambiente familiare.

Lo stadio fusivo dell’indistinzione sé/non sé


Il bambino, nel primo periodo della sua vita, non riesce ancora a distinguere facilmente il sé dal non sé. Egli dipende interamente dalla madre; questa figura è, pertanto, per lui totalizzante (rappresenta tutta la realtà). Il mondo affettivo del bambino, essendo limitato ai soli bisogni innati, che devono, in ogni modo, essere soddisfatti, si organizza intorno alla fonte di ogni gratificazion??e (la madre). E’ costei che, volendone favorire la cosiddetta fiducia di base, risponde alla richiesta di cibo, di attenzione e di protezione: il bambino, per tale motivo, non riesce ancora a percepirsi separato dalla madre né a distinguersi dal mondo circostante.
Egli scopre di essere un soggetto autonomo e a sé stante, in maniera graduale e attraverso varie e diverse esperienze; riesce a muovere le mani e i piedi, ma non a comprendere per quale motivo non è possibile far muovere un oggetto, come ad esempio un tavolo o una sedia.
Il bambino, nel primo anno di vita, secondo Michael Lewis e Janne Brooks dell’Università dell’Oregon, a Eugene, per scoprire se stesso, possiede un altro strumento, ovverosia lo specchio. I due studiosi americani hanno compiuto l’esperimento su novantasei bambini, usando uno stratagemma: ai bambini di circa sei mesi, dopo aver, a loro insaputa, praticato una macchia di rossetto sulla punta del naso, li ponevano davanti ad uno specchio. Essi se cercavano di togliere la macchia all’immagine rispecchiata, non avevano, in modo evidente, ancora raggiunto la capacità di distinguere il sé dal non sé. Se, al contrario, si toccavano il naso, avevano sicuramente raggiunto lo stadio cognitivo della comprensione che l’immagine nello specchio era la propria.Intorno ai dodici mesi il bambino sa riconoscere ormai anche una propria fotografia e distinguere la sua figura in una foto di gruppo. Ha acquisito, quindi, la capacità di autoriconoscimento e lo stadio fusivo dell’indistinzione sé/non sé viene, così, definitivamente superato.

Il bambino: riflessi ed abilità


Il bambino, rispetto a tutti gli altri piccoli dei mammiferi, è, per lunghissimo tempo, un indifeso. Egli rimane dipendente per anni e proprio per questo, quando diventa adulto, ha dietro di sé già una lunga e differenziata storia. La formazione della personalità di un uomo adulto, con i suoi conflitti, con i suoi pensieri ed emozioni, dipende dalle influenze che egli ha ricevuto nei primi anni di vita. Se si conoscessero, perciò, meglio tutte le esperienze ed i condizionamenti dell’infanzia, forse potrebbero essere debellati adeguatamente i mali e le disfunzioni della società. L’adulto dovrebbe, per tale motivo, responsabilmente aiutare il bambino a crescere nell’autonomia e nella libertà. Prima della nascita l’essere umano è in perfetta simbiosi, attraverso il cordone ombelicale, con la madre e soddisfa i suoi bisogni, senza dover subire alcuna frustrazione. Egli subisce un primo trauma, nascendo, quando è costretto ad avvertire con angoscia il distacco dalla madre e le ostilità di un mondo estraneo, in cui per sopravvivere deve, prima di tutt??o, imparare a respirare. Il bambino dimostra, così, il disappunto alle difficoltà con il pianto e con altri atteggiamenti di rifiuto. Egli già possiede, tuttavia, un bagaglio di riflessi e di abilità.
Nel neonato sono presenti:
Il riflesso della “ricerca del seno”(ruota la testa, quando viene toccata la sua guancia, per ricercare istintivamente il seno materno).
Il riflesso di afferramento (tende ad afferrare quando c’è pressione sui tendini flessori).
Il riflesso di Moro (protende, quando la testa sta per cadere all’indietro, le braccia in avanti).
Il riflesso del “camminare” (si attiva, quando il neonato viene sostenuto, in posizione verticale, sotto le ascelle).
I neonati possiedono anche abilità percettive (ad esempio, seguire oggetti in movimento) e motorie iniziali (ad esempio, tenere il mento sollevato, usare le mani per colpire oggetti e così via). Le abilità motorie, in verità, sono, nel neonato, meno sviluppate di quelle percettive.

IL BAMBINO:SVILUPPO FISICO E MOTORIO


Lo sviluppo motorio del bambino, fin dalla nascita, si attua, attraverso una serie di trasformazioni fisiche, che coinvolge il sistema cerebrale. Il bambino cambia posizione e, nel momento in cui è colto di sorpresa da un evento, allarga, come se volesse abbracciare qualcuno, le braccia e le mani verso la linea mediana del corpo. Tale riflesso scompare intorno ai sei mesi, perché il cervello, perfezionandosi, subisce delle modificazioni biologiche. Lo sviluppo motorio, in generale, nel primo anno di vita, dipende dalla maturazione biologica.
L’esercizio potrebbe, tuttavia, facilitare l’accelerazione della posizione eretta e della deambulazione.
Molti bambini già camminano ad un anno, altri compiono i primi passi all’inizio del secondo. Tutte le capacità motorie (la posizione seduta, la locomozione strisciante e carponi, la stazione eretta e la deambulazione con appoggio), che si realizzano durante il primo anno di vita, predispongono, nel secondo anno, l’acquisizione della deambulazione autonoma. Il bambino già attraverso i primi passi percepisce l’importanza dell’indipendenza fisica e del senso di esplorare la realtà circostante, in continua espansione. La deambulazione, nel bambino, viene favorita anche dal contemporaneo e sincronico sviluppo neurale, consolidamento del sistema muscolare e continuo cambiamento delle proporzioni corporee.
Durante la prima l’infanzia, lo sviluppo della locomozione carponi e della coordinazione senso-motoria fa assumere comportamenti con una sequenza alquanto regolare. Nell’età infantile si presta maggiore attenzione agli eventi, soggetti a cambiamento, e ai movimenti, che hanno contorni e linee circolari. Nella seconda infanzia, i bambini, per quanto riguarda lo sviluppo motorio e la crescita fisica, acquisiscono, raggiungendo tanto proporzioni corporee più simili a quelle degli adulti quanto una coordinazione più efficiente e un sistema nervoso più maturo, una maggiore abilità motoria.
I bambini, a tre anni, in media sono alti circa novantacinque centimetri e le bambine sono alte circa un centimetro in meno. Per quanto concerne il peso, i primi pesano circa kg. 14,850 e le seconde sono leggermente più leggere (14,6 kg.). Solo intorno ai sei anni ormai il loro corpo ha assunto le forme e le abilità necessarie, per superare la fase dell’infanzia e per assomigliare maggiormente agli individui dell’età adulta.

venerdì 19 dicembre 2008

Il gioco parte III°



Il gioco è sicuramente l’espressione più autentica e spontanea dell’infanzia, è attraverso l’attività ludica che si possono intravedere tendenze ed inclinazioni del bambino. Dice il Pitrè “Il fanciullo è un piccolo uomo e noi, fanciulli di una volta, possiamo, nei suoi atti scomposti e meccanici d’oggi vedere o prevedere i suoi atti relazionali di domani come nel breve, ahi! troppo breve! periodo della sua età spensierata, studiare quelli men brevi dell’agitata adolescenza e della non lieta maturità”.I bambini possiedono l’istinto del gioco e questa attitudine emerge già in tenera età. Il gioco è una delle componenti principali nella formazione psico-fisica dell’individuo; è occasione di socializzazione e di apprendimento; è formazione ed educazione; il gioco stimola l’inventiva, la curiosità, l’ingegno, la manualità, la creatività; esso abitua alla competizione, alla riflessione, al rispetto delle regole; attraverso il gioco si potenziano abilità fisiche e motorie, contribuisce a formare la mente; rappresenta, inoltre, un vero e proprio allenamento che il bambino compie inconsapevolmente per avvicinarsi ed adattarsi alla società degli adulti.
Con il gioco, il bambino ritrova il sorriso e la spensieratezza scordandosi dei piccoli malumori quotidiani.

Il gioco: un'attività essenziale per la crescita del bimbo



Il gioco è una delle attività umane in grado di generare soddisfazione e piacere. Tutti noiabbiamo scelto e scegliamo il "nostro" gioco sulla base del nostro interesse e del nostropiacere. I bambini, in particolare, fanno del gioco la loro occupazione principale: attraverso ilgioco trovano, pur senza cercarle in modo consapevole, soluzioni nuove di adattamento allarealtà che li circonda.Appare necessario sottolineare che il gioco non è, o meglio, non è solo puro "allenamento allavita", anche se rappresenta, senza dubbio, un luogo privilegiato in cui il bambino è in grado diapprendere comportamenti specifici che in seguito gli saranno utili (per esempio la bimba chegioca a fare la maestra).In realtà, ciò che il bambino esperisce durante il gioco simbolico in particolare è la sua idea o,meglio, l’essenza di quel ruolo, e non le sue competenze e funzioni specifiche. è possibileoffrire ai bambini opportunità ludiche orientate al raggiungimento di finalità educative di tuttorispetto, ma è opportuno non perdere di vista quanto sia determinante quella autentica"spinta" interiore a giocare, senza la quale qualsiasi ambiente, anche il più ricco di stimoli,apparirebbe come inadeguato.


I bambini vanno sempre rafforzati ed incitati con dei giochi!

giovedì 18 dicembre 2008

IL GIOCO: UN QUOTIDIANO SVILUPPO INFANTILE!


Il gioco ha un'importanza fondamentale nello sviluppo del bambino. Esso ha, inoltre, una funzione sociale, di interazione e condivisione. Attraverso il gioco è possibile capire il bambino, il suo livello di sviluppo, le sue fantasie. È l'elemento principe delle psicoterapie infantili ed è utilizzato come sostegno per i bambini ospedalizzati che devono ricevere cure mediche. Secondo Freud il gioco permette al bambino di assimilare ed elaborare l'assenza della madre. Il bambino gestisce e diventa parte attiva, anziché passiva, di un evento potenzialmente pericoloso. Questa funzione è evidente nei giochi del "cucù" e del "nascondino" dove si unisce la partecipazione di altre persone (inizialmente la madre). Il gioco permette al bambino di trovare sollievo alla sua angoscia interna proiettando sul gioco i suoi conflitti. Il bambino utilizza l'oggetto transizionale (che può essere un giocattolo, ma anche una copertina o un indumento) per affrontare l'autonomia e la separazione dalla madre. L'oggetto transizionale rappresenta la madre nella fantasia del bambino. È un oggetto al quale il bambino è molto attaccato, che lo rassicura. Il bambino può agire su questo oggetto sentendosi più forte e sicuro. I giochi, poi, sono occasioni di scambi sociali per il bambino. Il gioco del bambino con la madre è un gioco inizialmente ripetitivo in cui entrambi i membri hanno delle aspettative. Poi, la madre attua una "violazione" del gioco suscitando grande ilarità nel bambino che chiede di continuare. Queste ripetizioni e violazioni hanno un significato fondamentale: consentono al bambino di vivere l'attesa, tollerare la frustrazione e anticipare la sorpresa.

LO SVILUPPO MENTALE DEL BAMBINO


Il gioco e l'acquisizione del linguaggio sono due elementi fondamentali per lo sviluppo mentale del bambino. Attraverso il gioco è possibile capire il piccolo, i suoi bisogni, le sue fantasie. È largamente usato per tutte le psicoterapie infantili ed è utilizzato come sostegno per i bambini ospedalizzati che devono ricevere cure mediche. Il linguaggio permette al bambino di acquisire una nuova forma di indipendenza, applicabile nel gioco simbolico e nell'immaginazione.

Nel prossimo post vi pubblico come il gioco sia fondamentale per lo sviluppo del bambino!

ciao ciao

mercoledì 17 dicembre 2008

L'importanza del gioco nei bambini



Per i bambini, che giocano per divertirsi, non c'è nessuna differenza tra il gioco e ciò che un adulto potrebbe considerare come un lavoro. Solo più tardi, una volta che giungono ad associare un'attività alla ricompensa, essi iniziano a considerare un comportamento mentre lo pongono in atto in vista di benefici a lungo termine piuttosto che per la gratificazione immediata. Ciò è dovuto allo sviluppo di abilità cognitive che consentono al bambino di vedere il legame tra causa ed effetto.
Attraverso il gioco, infatti, il bambino incomincia a comprendere come funzionano le cose: che cosa si può o non si può fare con determinati oggetti, si rende conto dell'esistenza di leggi del caso e della probabilità e di regole di comportamento che vanno rispettate. L'esperienza del gioco insegna al bambino ad essere perseverante e ad avere fiducia nelle proprie capacità; è un processo attraverso il quale diventa consapevole del proprio mondo interiore e di quello esteriore, incominciando ad accettare le legittime esigenze di queste sue due realtà.
Le attività ludiche a cui i bambini si dedicano si modificano via via, di pari passo con il loro sviluppo intellettivo e psicologico, ma rimangono un aspetto fondamentale della vita di ogni individuo, in tutte le fasce d'età.






BUONA LETTURA!!!

martedì 9 dicembre 2008

LE EMOZIONI DEI BAMBINI ATTRAVERSO LA LORO CREATIVITA' ( I LORO DISEGNI)


Parlare di bambini è come parlare di noi, di ciò che eravamo e di ciò che dovremo essere. Le prime esperienze sensoriali, attraverso la sperimentazione grafico-pittorica sono uguali in tutto il mondo. Il bambino, disegnando, rende trasparenti le motivazioni di base che lo invogliano ad esprimersi. Al pari del gioco simbolico e del linguaggio, il disegno infantile è un tipo di comportamento significativo della comparsa dell’attività rappresentativa. Neppure all’inizio, l’attività grafica rappresenta qualcosa di involontario o di casuale, ma è invece una conquista intenzionale, un modo di conoscere il mondo che segue una certa evoluzione. Il disegno dei bambini c’illumina sul comportamento infantile nella sua globalità, proprio perché gli scarabocchi sono visti come la traduzione grafica inconscia di uno stato emotivo. Sono i fattori ambientali, quelli affettivi e sociali, ad essere così determinanti anche nello sviluppo dello stesso bambino. Sembra inconsueto credere che sia l’intento rappresentativo, e non l’immagine o la forma, a determinare la costruzione degli schemi figurativi. Eppure tutto ciò avviene fin dai primi scarabocchi. I primi passi, e i mezzi usati dal bambino per esplorare l’ambiente esterno gli aprono un mondo nuovo, tutto da vedere, da ascoltare, da toccare. La possibilità di sperimentare liberamente in senso lato, e soprattutto nell’ambito grafico con i primi scarabocchi, predispone il bambino verso un migliore apprendimento del linguaggio simbolico e della lettura. Già da un anno, un anno e mezzo il bambino inizia la sua attività grafica con lo scarabocchio onomatopeico, cioè uno scarabocchio accompagnato da un suono.

Ecco perchè è molto importante interpretare i disegni dei bambini!!!

Buona lettura

venerdì 21 novembre 2008

Il disegno infantile: dimensioni cognitive, emotive ed artistiche


I disegni prodotti in età infantile sono stati considerati, per secoli, una forma mancata di espressione artistica. Le prime ricerche in ambito psicologico evidenziavano soprattutto le differenze tra disegno infantile e adulto, nel tentativo di trovare delle regole generali per spiegare l’evoluzione dell’abilità grafica.


Sin dai primi anni del ‘900 il disegno viene considerato come manifestazione dell’espressione artistica del bambino. Egli sarebbe spinto a disegnare per la soddisfazione che questa attività comporta, il piacere sarebbe di tipo sensoriale nei primi tempi, in seguito, con il perfezionamento delle abilità artistiche, il gradimento sarebbe anche di tipo estetico. Il soggetto da disegnare verrebbe scelto dal bambino in base alle sue preferenze individuali, ma comunque egli subisce una pressione sociale che lo inviterebbe a riprodurre delle rappresentazioni realistiche (Read, 1943). Molti studi mettono in evidenza che i bambini hanno preferenze stilistiche personali già in età precoce, mentre i canoni di giudizio estetico sarebbero influenzati dal contesto sociale, come confermano ricerche sulla valutazione della bellezza di un disegno in differenti culture.
ciao ciao!!!!

mercoledì 19 novembre 2008

GIOCHI DI FANTASIA


Un modo molto originale di manifestare la propria creatività lo possiamo trovare in Africa in cui i bambini costruiscono i propri giochi non solo per povertà, non per disperazione: costruiscono per conquistare un po’ di felicità, e ogni giocattolo ha una storia da raccontare. Spiega l’antropologo Marco Aime: «I bimbi africani giocano con i loro camioncini costruiti con pezzi di latta, legno e tappi della birra. Tutto viene ricuperato, riciclato, adattato. Una latta, un tappo, un pezzo di fil di ferro, prendono le forme di ciò che i bambini vedono. Una scatola di sardine può diventare un’auto, i tappi della birra le ruote, le mani dei bambini obbediscono ai loro occhi e quegli oggetti trovati per terra non oppongono resistenza, quasi fossero contenti di tornare a nuova vita». Oggi questi poveri ma preziosi giocattoli giungono dall’Africa fino a noi, per insegnarci l’arte della sobrietà, della fantasia e dell’ingegno.

lunedì 17 novembre 2008

Creatività e fantasia


La creatività è la capacità di prendere spunto dalla fantasia per realizzare qualcosa di nuovo nella realtà. Alla luce di quanto abbiamo detto prima, la fantasia e la creatività sono due aspetti del pensiero estremamente complessi.
La fantasia non ha limiti di tempo di spazio, di convenzioni, non ha freni inibitori, non è soggetta a censure nei momenti oscuri della vita sociale. Basta chiudere gli occhi e "con la fantasia" siamo in grado di viaggiare nel tempo e nello spazio, di inventarci situazioni piacevolissime o di prefigurarci momenti terrificanti; nello spazio di qualche frazione di secondo con la nostra mente, con le nostre capacità fantastiche siamo capaci di diventare re o regine dell'universo, di atterrare sulla luna.
La fantasia è una capacità fondamentale che in misura variabile è presente in ogni essere umano, ed è viva soprattutto durante l’infanzia. I bambini sono in grado di organizzare giochi con materiali poveri ed intrattenersi per ore giocando al “fare finta di “, oppure in brevissimo tempo, possono elaborare collegamenti fantastici tra fatti apparentemente scollegati e diversi tra loro.

martedì 11 novembre 2008

IL BAMBINO A CONTATTO CON LA NATURA E LE SUE MERAVIGLIE


Uno degli aspetti più affascinanti del bambino è la sua capacità di stupirsi e di meravigliarsi.

Il bambino sia a casa che a scuola deve essere incoraggiato nella scoperta dell'universo e delle bellezze che lo racchiudono, per raggiungere con gradualità a maturare emotivamente ed affettivamente in modo che la curiosità e l'attenzione siano rafforzate e potenziate.

L'adulto si affianca al bambino in questo suo itinerario a contatto con il mondo reale e palpitante, partecipa con intensità di sentimenti e vive le sue stesse emozioni ripercorrendo il cammino della propria infanzia; il bambino, da attore, si muove sia pure con prudenza e si sente protagonista ponendosi gli interrogativi, entusiasmandosi nella ricerca di gruppo per ammirare e stupirsi di ogni sua piccola scoperta.

Vive, così, le esperienze per poterle raccontare, confrontare, e rappresentare al mondo esterno.
Aspetto una vostra risposta, grazie!!!

martedì 4 novembre 2008


Ciao... in questo secondo post vi spiegherò che cos'è la fantasia e la creatività !




La creatività è la capacità di prendere spunto dalla fantasia per realizzare qualcosa di nuovo nella realtà. La fantasia e la creatività sono due aspetti del pensiero estremamente complessi.
La fantasia non ha limiti di tempo di spazio, di convenzioni, non è soggetta a cambiamenti nei momenti oscuri della vita sociale. Basta chiudere gli occhi e "con la fantasia" siamo in grado di viaggiare nel tempo e nello spazio, di inventarci situazioni piacevoli o di immaginarci momenti tristi. La fantasia è una capacità fondamentale che in misura variabile è presente in ogni essere umano, ed è viva soprattutto durante l’infanzia. I bambini sono in grado di organizzare giochi con materiali poveri ed intrattenersi per ore giocando al “fare finta di “, oppure in brevissimo tempo, possono elaborare collegamenti fantastici tra fatti diversi tra loro.
Verso gli otto mesi, il bambino impara a fare uso dell’immaginazione. Il "piccolo" impara che gli oggetti possono anche esistere nella sua mente, e che non scompaiano solo perché non sono visibili. Il bimbo capisce che anche le persone possono trovarsi altrove senza scomparire. Perciò, il piccolo protesterà quando la sua mamma andrà via, ma si tranquillizzerà più in fretta perché può immaginarla e sa che tornerà.
Dai 18 mesi in poi, il bimbo non usa più gli oggetti solo per sperimentare , ma crea situazioni nuove , mettendo in scena i suoi vissuti e i suoi sentimenti.


La creatività è distribuita in misura molto minore della fantasia, poiché oltre ad una buona capacità intellettive richiede una notevole abilità organizzativa. Infatti, possiamo così concludere questo post dicendo che la creatività è la capacità di ogni essere umano di realizzare concretamente le sue fantasie, utilizzando ovviamente la tecnologia del suo tempo.

venerdì 31 ottobre 2008

Il primo post di Elena


Ciao a tutti,

in questo mio post prendo in esame la creatività del bambino dato che è inerente al mio corso di studi.

Spero di poterne discutere con persone interessate e sopratutto che si trovino a contatto con bimbi. A presto!!!